L’interno, codice dell’interiorità. A proposito della pittura di Massimiliana Sonego.
Commento critico di Corrado Castellani
La pittura contemporanea che conserva un qualche legame, seppur labile, con la figurazione, rivela il suo debito con la tradizione esibendo la provenienza da uno dei generi in cui si è incanalata nei secoli l’iconografia dell’arte. La ricerca di Massimiliana Sonego, pur attraverso elaborati processi di codifica e stilizzazione, deriva dalla natura morta, o dalla pittura d’interni, generi che tematizzano un ambiente circoscritto, abitato oppure no, ma comunque caratterizzato dalla presenza di cose inanimate e dalle relazioni che intercorrono tra loro. Per la pittrice si tratta di oggetti domestici, manufatti di uso quotidiano, densi di significati, memorie, emozioni.
A differenza dell’utilizzo, operato dalla pop art, delle immagini dei prodotti del consumo di massa, contraddistinti dalla fungibilità generalizzata e dalla rapida obsolescenza, in questa pittura le cose conservano una patina, un’aura che le accompagna nel tempo e le rende insostituibili. Associate alle tracce di vita vissuta, dalla quali è impossibile separarle, sono cariche di suggestioni che richiamano esperienze e situazioni del passato. Si spiega così la devozione con cui Massimiliana le tratta, collocandole al centro della sua pittura e trasfigurandole in un repertorio di forme, che ritornano, variamente citate, nei suoi dipinti. La pittura di interni si trasforma in un’indagine sulle emozioni collegate agli oggetti, sulle vicende rammemorate, sulle alterazioni e ridefinizioni della memoria attraverso il tempo, in un’insistente ricognizione dell’interiorità. Si riferiscono ad un patrimonio autobiografico di contenuti intimi, sostanzialmente enigmatico per lo spettatore, di cui è possibile cogliere solo l’accento, il carattere meditativo e malinconico. L’interesse dell’artista non è rivolto alla restituzione fedele dell’immagine dell’oggetto, quanto piuttosto alla sua evocazione, attraverso una sagoma che funziona nel contesto del quadro come un ideogramma. L’oggetto viene così citato, trasformato in elemento visivo che entra in relazione con altri elementi, giustapponendosi o sovrapponendosi ad essi. Il quadro si configura come un teatro onirico di cui non possediamo le chiavi interpretative, che si sottrae alla immediata intelligibilità, che non esplicita, ma accenna, allude e nasconde, in modo ironico e vagamente surreale. Come un rebus (un messaggio trasmesso “con le cose”) enigmatico, di cui non è dato scoprire la soluzione, ma solo l’intonazione generale.
Tutto questo è enunciato con un linguaggio pittorico coerentemente interpretabile a partire dai concetti fondamentali della pura visibilità, identificati da Heinrich Wölfflin più di un secolo fa. Viene infatti privilegiata la linearità del segno, che delimita gli oggetti visivi con tratti marcati, sulla pittoricità, che rinuncia al disegno percepibile e sfocia nell’indeterminatezza. Si sviluppa classicamente come visione della superficie, escludendo la visione della profondità, connessa alla presenza di una molteplicità di piani. E non va dimenticato che piattezza e bidimensionalità (assenza di modellato e chiaroscuro) costituiscono secondo Clement Greenberg la caratteristica fondamentale della pittura modernista. Si affida alla forma chiusa, che circoscrive compiutamente gli oggetti visivi, piuttosto che alla forma aperta e indeterminata. Si basa infine sull’accostamento di una molteplicità di elementi indipendenti, piuttosto che raggiungere la fusione delle parti in una compattezza organica. L’unità non è la legge che governa questi dipinti, in cui gli elementi restano definiti nella loro autonomia, anche se entrano in relazione gli uni con gli altri e se questa relazione costituisce la cifra originale di ogni tela.
Linearità, visione superficiale, forma chiusa, molteplicità sono forme simboliche coerenti che esprimono una peculiare esigenza di chiarezza, di ordine, di controllo sul flusso delle sensazioni collegato alla presenza degli oggetti. Nella stessa direzione possono essere lette le scelte cromatiche. La supremazia della forma si accompagna alla campitura omogenea dei brani di colore, che con toni decisi, egemonizzati dal rosso, tradiscono l’impatto emotivo, ma al tempo stesso non rinunciano a tenerlo a freno, a gestirlo, quasi per evitare di lasciarsi sopraffare dalla corrente incandescente dei pensieri e dei sentimenti da cui questa pittura prende le sue mosse.