Repertorio privato - Mostra Venezia 2022

Massimiliana Sonego

Repertorio privato - Mostra Venezia 2022

Pietas della memoria e sconnessione del senso. Sulla pittura di Massimiliana Sonego
Commento critico di Corrado Castellani


Collìgite quae superaverunt fragmenta, ne pereant.
(Giovanni 6,12)

L’immaginario di Massimiliana Sonego si nutre della tematizzazione poetica degli oggetti. Presenze prive di spessore, schematiche, ridotte a sagome o emblemi, affollano le sue tele. Icone non standardizzate, ma ripetute e riconoscibili, ritornano da un’opera all’altra. Appaiono come una serie pressoché circoscritta di profili, riferibili a manufatti d’uso, di frequentazione quotidiana - divano, sedia, vaso, soprammobile, ecc. - e costituiscono i protagonisti della sua pittura, di cui rappresentano il primo e più evidente codice simbolico.

Non è agevole dipanare la trama delle intenzioni alla base di questa scelta figurale, così marcata e costitutiva. Bisogna innanzitutto distinguere se, nella rappresentazione ripetuta, la pittura ricerchi la salvezza degli oggetti, se intenda valorizzarne la presenza, o se, invece, la soggettività dell’artista si proponga attraverso di essi di salvare se stessa. Se l’intento sia quello di preservare gli oggetti dal pericolo di dissolversi nell’irrilevanza e nella fungibilità(1), o quello di confortare il soggetto attraverso gli apporti e i supporti forniti dalle cose(2). Se le cose abbiano eminentemente valore e significato in sé, come arredi del mondo, o per sé, e siano quindi ragguardevoli in riferimento alla soggettività che le considera.

Tra le due alternative sceglierei la seconda: ritengo che la concentrazione su un repertorio iconico che ha per ascendente la natura morta sia da attribuire alla soggettività dell’autrice, al suo investimento emotivo e cognitivo, che insiste sui testimoni muti di ciò che è stato, e ritorna su di essi perché soggiace alla costrizione del ricordo o si compiace di abbandonarsi ad esso.

Questo porta a considerare il fattore tempo, il rapporto tra presente e passato, il soffermarsi su aspetti e momenti in cui si è sedimentata l’esperienza e di cui l’artista sperimenta, insieme, la tenace permanenza e la progressiva distanza, con l’ineluttabile alterarsi dei profili per effetto della memoria. Il tempo è la dimensione pervasiva e non oggettivabile di questa pittura. L’irrequietezza, l’imprevedibilità, l’aleatorietà di ogni configurazione lo evocano. Gli oggetti fluttuano, non si impongono per consistenza e stabilità, ma affiorano e vagano, riconoscibili ma elusivi. E soprattutto ritornano, di opera in opera, in configurazioni sempre nuove, come presenze di cui non ci si può e non ci si vuole liberare. Insieme al fluire del tempo Sonego ci presenta anche gli sforzi per contrastarne gli effetti: la fatica della memoria e la fedeltà del cuore, il lavorio incessante per la salvaguardia del patrimonio ereditato di contenuti, immagini, suggestioni.

Se il tempo è un parametro implicito, lo spazio è il territorio esplicitamente attraversato. Questa pittura priva di spessore e tridimensionalità abbandona ogni convenzione naturalistica. Tutto avviene alla superficie, eppure nulla è piatto. I piani della visione, su cui si stagliano e si affastellano sagome definite e cloisonné, si sfaldano imprevedibilmente e proliferano al punto che risulta a volte problematico distinguere tra figura e sfondo. La profondità è negata dalla pittura omogenea, ma evocata dalle articolazioni e dalle sovrapposizioni dei piani. Viene meno ogni differenza tra alto e basso, cielo e terra, o per meglio dire tra pavimento e parete, dato che la figurazione allude vagamente al tema dell’arredamento di un interno.

Ma non è un ambiente abitabile quello che viene presentato, non c’è distribuzione funzionale, comfort, intimità. Una logica onirica, di ispirazione surreale, disarticola le scene domestiche, che appaiono incongruenti e prive di centro. Ogni istanza di coesione e di coerenza è abolita, così come ogni differenza tra presenze eminenti e secondarie. Tutti i frammenti hanno la stessa importanza. Qualsiasi idea di cosmo, o solo di contesto ordinato, è abbandonata. Siamo in balìa del caso, dell’impossibilità di operare un assetto valoriale, con l’eccezione della pietas della memoria, che insiste a raccogliere, proporre, presentare, con appassionato attaccamento, elementi investiti di intense cariche emotive e conoscitive, ai quali viene attribuito un rilevante valore semantico, che resta comunque enigmatico ed indeterminato per il fruitore.

Le scene sono attraversate da un turbine destabilizzante. L’unità, la forma organica, è frantumata nella proliferazione delle scaglie disseminate nello spazio e smarrita nell’accumulo degli elementi che si sovrappongono. L’eredità del cubismo si traduce nell’attitudine a moltiplicare le articolazioni e le segmentazioni, ma anche nei montaggi e nelle sovrapposizioni costruttivistiche. Si è perso ogni riferimento ad un’aggregazione razionale e all’artista resta il compito di radunare frammenti disparati che non riescono dare vita ad un intero, nonostante il moltiplicarsi delle cornici evidenzi tentativi parziali e infruttuosi di circoscrivere e configurare. Il procedimento compositivo di Massimiliana Sonego rimane quello dell’assemblaggio di componenti giustapposti, senza che sia concessa la possibilità di una sintesi.

È singolare che l’effetto di squilibrio e di frammentazione sia ottenuto mediante una pittura nitidamente definita, attenta ad ogni dettaglio, con contorni marcati e campiture monocrome, piatte e omogenee, dai toni accesi, che riempiono le aree delimitate. Costituisce un altro aspetto, per certi versi complementare e antitetico rispetto al disordine strutturale, da considerare con attenzione. L’artista non intende abbandonarsi indiscriminatamente al flusso delle emozioni, ma vuole comunque esercitare un controllo su di esse. Pur affidandosi al sentimento e alla memoria, si concentra su ogni frammento nella sua specificità e singolarità, si prende cura di ogni particolare, guidata da un’esigenza di chiarezza e di distinzione che contrasta con la destrutturazione dell’insieme.

Nel conflitto irrisolto tra l’esattezza del dettaglio e l’impossibilità del sistema, che impone di fare i conti con il venir meno di un ordine plausibile e condiviso, risiede, in ultima istanza, a mio parere, la testimonianza più autentica che la pittura di Massimiliana Sonego rende alla situazione culturale della contemporaneità.

•Come propone Rainer Maria Rilke: “Sind wir vielleicht hier, um zu sagen: Haus, /Brücke, Brunnen, Tor, Krug, Obstbaum, Fenster, – / höchstens: Säule, Turm… aber zu sagen, verstehs, / oh zu sagen so, wie selber die Dinge niemals /innig meinten zu sein. (Forse noi siamo qui per dire: casa / ponte, fontana, porta, brocca, albero da frutti, finestra, / al più: colonna, torre… Ma per dire, comprendilo bene / oh, per dirle le cose così, che a quel modo, esse stesse, nell’intimo, / mai intendevano d’essere.)” (IX elegia. Elegie Duinesi. trad. Enrico e Igea De Portu). Quasi inutile ricordare che proprio all’irrilevanza e alla sostituibilità degli oggetti di consumo si è dedicata la pop art, soprattutto di area anglosassone.

•Atteggiamento di cui Eugenio Montale può essere considerato portavoce: “Non so come stremata tu resisti / in questo lago d’indifferenza ch’è il tuo cuore: forse / ti salva un amuleto che tu tieni / vicino alla matita delle labbra, / al piumino, alla lima: un topo bianco, / d’avorio; e così esisti” (Dora Markus. Le occasioni).

Repertorio privato in bianco e nero
Commento critico di Giovanni Bianchi

“Nella ricerca grafica del “repertorio privato” di Massimiliana Sonego ritroviamo soggetti cari all’artista: divani, poltrone, sedie, vasi. Oggetti che scandiscono con le loro forme il ritmo spaziale della composizione.
I rapporti di queste opere con la ricerca pittorica sono strettissimi ma diverso è il fascino che trasmettono, determinato dall’impiego di una diversa tecnica espressiva.
Inevitabilmente queste incisioni hanno comportato la rinuncia a quelle campiture colorate tanto amate dall’artista che qui si affida completamente alla poetica del segno e agli infiniti effetti tonali del chiaroscuro.
Le stampe, incorniciate dallo spazio bianco del foglio, sono in gran parte realizzate ad acquaforte e acquatinta, con l’aggiunta di interventi a puntasecca per armonizzare i rapporti tra chiari e scuri.
Emerge da questi lavori la volontà di distruggere la rigidità di una composizione schematica per esaltare una sorta d’imperfezione tanto necessaria per riprodurre la vita, per evocare il flusso della memoria.
Dal conflitto tra ordine e caos nasce la poesia, una poesia fondata sul dinamismo e la trasformazione; una poesia che si affida all’irrazionalità e all’imprevedibilità dei ricordi, che sembrano tornare spontaneamente e senza sforzo.
Sonego scopre a ogni momento la realtà, nel suo essere portatrice di significati presenti e passati, una realtà in costante rinnovamento; la scopre per analizzarla e per definire il suo personale vocabolario visivo.
Nelle incisioni sembra venir meno la manifesta bidimensionalità che caratterizza i dipinti a favore di un desiderio di esplorare lo spazio tridimensionale suggerito da sfumature e trasparenze che evocano un senso di profondità.
In Il divano (2022) e in Il paravento (2022) gli oggetti, ridotti a sagome e a elementi essenziali, attratti da una misteriosa forza magnetica, si smembrano e si sovrappongono gli uni agli altri, perdono la loro consistenza e la loro riconoscibilità immediata per indicare nuove e sorprendenti soluzioni formali indirizzate verso espressioni astratte. La grande sedia (2021) dà maggior risalto alla potenza narrativa dei segni che animano la composizione come è evidente pure in La seggiolona (2021).
La Poltrona (2022) sottolinea come anche in opere di grande formato Sonego riesca a dominare lo spazio, esprimendosi liberamente attraverso il gesto grafico.
Qui linee nere e bianche, più marcate rispetto a quelle visibili in altre incisioni, si impongono sulla superficie a definire forme che tendono all’astratto ma che traggono la loro origine dalla realtà. Visivamente l’opera si presenta più pacata, rispetto ad altre, ritmata da linee morbide e flessibili che ben esprimono il controllo della forza creatrice.
Alcune delle incisioni qui presentate sono state realizzate presso la storica Stamperia d’arte Albicocco di Udine, sotto l’attenta supervisione di Corrado Albicocco”

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