I cortocircuiti prestabiliti di Massimiliana Sonego
Commento critico di Fabio Girardello
"Le opere presenti in esposizione illustrano una tappa recente del percorso di Masimiliana Sonego.
Una tappa importante, che coincide con un traguardo limpido, di livello notevole, ma che meglio si comprende ricostruendo, seppure per sommi capi, il percorso formativo dell’artista.
L’iter di Massimiliana Sonego non è breve: il catalogo “antologico”, pubblicato recentemente ma oramai del tutto superato dagli esiti attuali, rivela che già negli Anni Settanta l’artista aveva raggiunto apprezzabili risultati e che tuttavia già provava quelle inquietudini, che sono spia di più ambiziosi obiettivi.
L’artista si era impossessata di alcune significative lezioni: prime quelle di Van Gogh e Gauguin, applicate in modo non pedissequo attraverso la lettura mediata, veneta, di Gino Rossi. Massimiliana Sonego cercava la sua strada in ambito espressionista-fauvista, anche se adottava tale macrocodice storico, evidentemente ritenuto imprescindibile, in senso moderato, addolcito.
Massimiliana Sonego ha avuto, con la pittura, un approccio emozionale. Nelle opere di formazione l’elemento affettivo è evidente: l’artista evidenziava, per prima cosa, la necessità di dar forma alla “risonanza lirica” (Santese) prodotta dai dati della quotidianità, di interpretare il suo mondo: il paesaggio collinare, effettivamente interiorizzato; l’interno della sua casa-atelier.
Quest’urgenza non è stata accantonata: è ravvisabile anche oggi, a garanzia di un’autenticità che nel tempo non ha temuto di dichiarare né i maestri di riferimento né le ragioni autobiografiche e autoanalitiche, seppur metaforicamente trascritte nella “poetica degli oggetti”.
Nel tempo, gli strumenti conoscitivi si sono affinati. L’affettività ha lasciato più spazio allo studium.
Gli auctores divengono, esplicitamente, Matisse e Cezanne: due riferimenti complementari. Oltre che vitalistica e musicale, la pittura di Matisse inaugura una fase “non occidentale” nella pittura del Novecento: come accade nella grande tradizione della tessitura del tappeto, l’elemento che superficialmente potrebbe apparire decorativo diventa scansione ritmica e modulare; la bidimensionalità implica il superamento della concezione di “spazio” codificato dal modello logico-matematico della prospettiva.
Secondo canoni prettamente occidentali, Cezanne dice invece che tutto ciò che percepiamo si può scomporre e tradurre in forme geometriche: è la “forma meditata” che rende mentale l’atto del dipingere.
Interiorizzando questi stimoli “dissonanti”, la pittura di Massimiliana Sonego si fa per gradi sempre più finemente analitica. Si assiste a un progressivo abbandono delle remore rappresentative: la selezione cromatica segue urgenze pulsionali, l’artista si interroga sulle valenze del colore come superficie e come spazio.
La successiva frammentazione dell’immagine, non più riducibile all’icona, è indizio (non unico) di una benefica crisi che equivale all’approdo di Massimiliana Sonego alla contemporaneità.
Credo sia giusto precisare che contemporaneità non significa necessariamente aggiornamento a un linguaggio standardizzato e progressivo. Anzi, se l’obiettivo fosse questo, risulterebbe inadeguato il medium pittorico.
Oggi l’unico linguaggio che efficacemente si modifica seguendo la direttrice dell’aggiornamento è quello che attiene all’applicazione tecnica: un linguaggio economico, utile per comunicare e magnificare il costante miglioramento e l’esponenziale ricchezza delle prestazioni tecnologiche.
Ciò non implica necessariamente un giudizio negativo: si moltiplicano fino al parossismo gli optional spesso inutili del telefonino, ma si moltiplicano anche le utilissime applicazioni della tecnologia alla scienza medica.
È invece assolutamente fuorviante, e oramai fuori tempo, la coazione dell’arte a rincorrere il nuovo, forzando un’espressione continuamente in ritardo, destinata a perdersi in operazioni tribunizie e scandalistiche, ad appiattirsi sulla retorica della comunicazione: l’ha storicamente dimostrato l’eclissi dell’Avanguardia.
Il linguaggio della pittura, arte antica, caparbiamente risorgente nonostante gli innumerevoli, stucchevoli e furbi annunci della “morte dell’arte”, non è una lingua veicolare. È una lingua speciale, che come tale può anche parlare di altro, ma che parla soprattutto di se stessa.
La pittura è un’arte paradossale e inattuale. Il suo “aggiornamento” coincide con il rinvenimento di una legge a cui il singolo pittore, se ne ha il talento e la lucidità, si sottopone, procedendo a chiarire passo dopo passo, giorno dopo giorno, il suo codice, in un moto che va verso la profondità, seguendo l’urgenza effettiva di dire.
In questo percorso, contemporaneo è l’artista che non si fa intimidire né dal passato né dalla “nevrosi di futuro”, ma che sceglie gli strumenti che gli appaiono utili – antichi o nuovi che siano – ri-chiamandoli, ovvero attualizzandoli rispetto al senso del suo lavoro.
La linea espressiva a cui Massimiliana Sonego è approdata richiama, per certi versi, il collage cubista e i “pensieri pittorici” del secondo Futurismo; per altri l’estremizzazione bidimensionale di un certo Pop; ma anche – e forse più - le modalità della pittura neo-metafisica e non figurativa italiana degli Anni Trenta (di Attanasio Soldati, di Mario Radice, di Bruno Munari, di Osvaldo Licini, di Luigi Veronesi). La riutilizzazione scanzonata, ironica - e dunque marcatamente “contemporanea” - di tali strumenti linguistici le ha permesso di far riaffiorare, all’interno della gabbia di campi distinti e intersezioni cromatico-spaziali, i fantasmi di quegli oggetti che le sono cari, e che la pittrice ritrova sempre e incessantemente interroga nella sua esperienza quotidiana, ridotti a silohuettes ora graficamente compiute, ora liberamente gestuali, a cui danno consistenza le textures essenziali (di ascendenza matissiana) e i sorvegliati accenni volumetrici.
Ne deriva un contorcircuto prestabilito, in cui il richiamo figurale contraddice la raffinata pulizia dei toni e la ripartizione delle campiture, garantendo un’accelerazione per nulla scontata all’incedere ritmico delle composizioni. Questo gioco si è fatto evidente soprattutto nelle opere più recenti, in cui l’oggetto amato è percepito come un “nucleo energetico”, ectoplasmatico e insieme assolutamente concreto, a stento contenibile all’interno dell’esile ragione geometrica delle sue forme esteriori"