Commento critico di Lorena Gava
"L’universo artistico di Massimiliana Sonego è giunto ad una svolta.
Dopo tante nature morte viste dal di fuori, attraverso un’analisi puntuale del dato oggettivo composto prevalentemente di vasi, di fiori, di recipienti accostati su superfici di mobili semplici ma ricchi di storia, l’artista giunge a rompere l’unità della visione con un occhio calato all’interno dell’oggetto stesso e capace di far emergere una verità altra. E’ come se il velo delle apparenze, prima straordinariamente giocato sulle assonanze cromatiche, sulla razionalità prospettica, sulla cura del dettaglio e degli aspetti decorativi, fosse stato definitivamente sollevato o addirittura strappato al fine di rivelare una combinazione di forme nascoste, una logica strutturale altrimenti destinata a rimanere taciuta o ignorata.
C’è l’intenzione forte di scoprire una mappa esistenziale lontana dall’essere fenomenico e incentrata piuttosto sul gioco irriverente delle parti: l’oggetto in sé perde i connotati certi della disposizione spaziale e subisce il fascino della destrutturazione, della frantumazione prospettica e compositiva. Ecco allora che della realtà conosciuta fatta di sedie, divani, mobili, scatole rimangono solo i perimetri o meglio gli scheletri che si materializzano in un ricordo fatto di linee grosse,larghe, articolate e disarticolate in un gioco labirintico di soluzioni geometriche. Prendono corpo forme quadrangolari ed ellittiche mai regolari, spesso attraversate da un movimento ondulatorio simile a deboli scosse che rendono l’insieme instabile, in attesa, forse, di altre asimmetrie spaziali. L’assenza di impianto prospettico per la dichiarata volontà di disporre ogni singolo pezzo su uno stesso piano, muta il senso dei rapporti e delle relazioni: sia che si tratti di una disposizione verticale o di un allineamento orizzontale, il fascino della visione scaturisce dall’azzardo imprevedibile degli accostamenti, dove comunque nulla è lasciato al caso. Vige la logica stringente delle parti che sebbene sconnesse e smembrate, non esitano a raccogliersi tutte in unità, in un insieme che tiene conto, in ugual misura, del grande e del piccolo.
L’oggetto scomposto, ingigantito, staccato diventa soggetto di una inaspettata realtà che si attua in superficie senza impedimenti, nella pienezza di una libertà finalmente raggiunta e conseguita. Un filo sottile di colore bianco o nero, ripercorre spesso queste entità sventrate, nell’intento, forse, di riconoscerne l’unità originaria, un filo che volutamente contrasta con le pezzature cromatiche sottostanti, quasi un filo da sarta che cuce brani di stoffa.
I colori che Massimiliana Sonego utilizza sono sempre raffinati, ricercatissimi, seguono l’andamento reiterato degli oggetti e accompagnano l’ordito scenico con un felice impatto visivo.
Sciabolate di rosso, di azzurro, di viola contrastano i grigi degli sfondi e animano di richiami timbrici la trama narrativa. Talvolta la scena si fa più silenziosa, assorta e le cromie si attestano intorno alle sfumature delicate dei pigmenti rosati, simili a cipria, altre volte l’irruenza cromatica diventa materica ed emerge dal fondo con stratificazioni repentine ed aggettanti.
E’ difficile rimanere indifferenti a questi soggetti-oggetti denudati, defraudati del loro essere abituale, ma proprio per questo degni della profondità e dell’intelligenza del nostro sguardo".