Commento critico di Alessandra Santin
"Massimiliana Sonego parte dai silenzi, dalle loro forme, dai colori di alcuni oggetti che hanno segnato la sua vita: un carillon, la tenda inglese, una ciotola bianca, quel tavolino, il profilo della madre, la luce riflessa, il vuoto dietro la finestra, la domanda della stanza chiusa.
Ciascuno di essi passando attraverso la vita non si cristallizza nell’evento ma si trasforma invece in simbolo vivo. Se la poesia nel suo fare fonda la realtà, l’arte cerca di rivelarla: nascono così i corpi-immagine che interpellano l’artista, immersi nel dinamismo fluido e frammentario del tempo interiore. Decostruendo il contesto in cui essi sono quotidianamente con l’impulso che li porta a resistere alla dissoluzione. Per questo le opere della Sonego sorprendono, perché scaturiscono da un momento che al fruitore continua ad apparire inconsapevole di ogni intenzione; la Sonego infatti, sottrae il corpo e dunque la forma ad ogni agevole definizione.
I suoi ultimi lavori, in particolare, stesi ed estesi lungo la tela quasi infinita, rappresentano il dinamismo organico che sconvolge l’ordine quotidiano del tempo. Queste opere-fiume parlano di un’adesione al “pensiero del corpo”. Si tratta di una ricerca che instaura un particolare confronto con uno dei connotati principali della post modernità: quello che Baudrillard ha chiamato il “soggetto frattale”, il soggetto alienato che sogna di “assomigliarsi in ognuna delle sue frazioni”, che si “diffrange in una moltitudine di ego “miniaturizzati”. Contro questa frammentazione del sé l’artista intraprende un processo di “in-corpor-azione”, non per assaporare una ipotesi di unità ma per partecipare del caos organico/dinamico/originario. In modo radicale l’artista rinuncia a fare delle forme e dei colori il mezzo dell’espressione, per farne invece il locus unico dell’azione. E’ questo passaggio che permette di riconoscere quasi una scelta performativa, una risposta alla dispersione che nasce, tra l’altro, dalle proiezioni elettroniche, dalle modificazioni dei media contemporanei. Ciò che l’opera rivela è la tensione di una soggettività che coscientemente risponde al rischio della dissoluzione, cercando in ogni frammento dell’azione un risveglio, un’attenzione nuova. Intesa in questi termini essa è anche la premessa per una maggiore apertura verso l’alterità, una condizione che va intesa come spinta “per farsi attraversare”. Ecco la necessità di spazi allungati a nastro, da percorrere per attivare quel processo silenzioso d’inclusione ed appartenenza che muove Massimiliana Sonego alla ricerca"