Ca’ Lozzio incontri (2014)

Massimiliana Sonego

Ca’ Lozzio incontri (2014)

Transizioni?
Commento critico di Lorena Gava

Carlo Maschietto e Massimiliana Sonego sono stati, per alcuni anni, Maestro e allieva all’Accademia delle Belle Arti di Venezia.
Generalmente, quando ad un artista rivolgo domande sulla sua formazione, il rimando al Maestro è spesso inevitabile ma tutto avviene sul piano del ricordo, degli insegnamenti e della parola.

Io, allora, immagino gesti, parabole di braccia e mani, discussioni inerenti il segno, il colore, la tecnica, i materiali.
Mi sono sempre interrogata su come possano essere tradotte e recepite, dall’occhio e dalla mente di chi guarda e ascolta nell’intento di apprendere, le azioni verbali e fisiche di un Maestro. Quali sono le contaminazioni, le tangenze o le naturali differenze giustamente difese in virtù di universi personali e stilistici inconciliabili e autentici?

Un confronto, partendo dalle rispettive realizzazioni, consente di stabilire le probabili mutuazioni, gli innesti culturali e semantici o le assenze ( ma sono vere assenze?) enunciate da figurazioni distinte e lontane.

Carlo Maschietto e Massimiliana Sonego mi sono apparsi subito molto diversi.
Innanzitutto l’uno sembra prediligere, almeno in questo ciclo di opere, il piccolo formato, l’altra le grandi dimensioni. I quadri di Carlo sono la risultante di un processo elaborato di pensiero e di materia, la stratificazione cromatica segue un affondo prospettico e mentale in cui lo coordinate di tempo e spazio sembrano coincidere nell’orizzonte dilatato di paesaggi dotati di un’identità fisica precisa e nel contempo meta-fisica, veri e propri brani di memoria passata e presente. Mi riferisco, in modo particolare, alle opere in cui dominano alcune componenti ricorrenti: il mare, la nave, le dune e una piccolissima, enigmatica, figura maschile.

Attraverso cromie differenziate e variate sui toni, tanto che ogni lavoro può riconoscersi singolarmente nel giallo, nel rosa, nel bianco o nell’arancione, espressioni vagamente aurorali o crepuscolari, il Maestro inscena visioni che da minime diventano straordinariamente grandi, in un crescendo di vertigini e inversioni dimensionali. C’è un gioco sottile, rizomatico, profondamente studiato e perfettamente composto, di situazioni in divenire, di conturbanti instabilità, dentro un andamento in apparenza calmo e statico. In realtà, quello a cui assistiamo, soprattutto nei primi piani, è una vibrazione magica di metamorfismi allusivi, di surreali migrazioni tra regno animale e vegetale dentro silenzi inquietanti. E il silenzio aumenta in quella sorta di trittico, di misure più evidenti, in cui la stesura cromatica diventa corpo e sostanza di un racconto materico astratto e intimo, una sorta di scrittura interiore fatta di tensioni e abbandoni, di increspature e rilassamenti, di superfici ruvide in aggetto e di plaghe levigate.
Chissà se queste corrispondenze minerali compatte e “liquide” hanno trovato un’eco nelle texture intrise di sabbia e di sovrapposizioni proprie di Massimiliana Sonego. Da tempo la pittrice stupisce per la rara e forte consapevolezza della materia impiegata. Il suo mondo, calato entro la scomposizione e disarticolazione, quasi araldica, di alcuni oggetti familiari, affascina per la combinazione felice dei segni ma soprattutto per l’equilibrio compositivo dato dalle sedimentazioni cromatiche, dalle intersezioni degli impasti sapientemente combinati. La dinamicità che caratterizza i suoi recenti lavori sembra accompagnare, in un flusso di materia e gesto, lo scorrere dei pensieri:

Massimiliana dà forma e consistenza al tempo attraverso la concentrazione di entità a lei care che, seppur trasfigurate, mantengono confini certi e rintracciabili. Qui le mappe di una geografia personale, nutrita di grafismi, conducono verso circuiti figurali magnetici e la geometria emoziona
per la stimolante provvisorietà degli oggetti rappresentati e scarnificati, in attesa, forse di una ricostituzione e di una riformulazione.
Inconciliabili sul piano della rappresentazione visiva, gli universi di Carlo Maschietto e Massimiliana Sonego trovano, a mio avviso, degni parallelismi nell’intento comune di vivere la materia come strumento privilegiato di significazione, come punto di partenza per ogni transizione entro i labirinti di sensibilità fortemente individuale. Le opere raccontano la medesima volontà all’accumulazione e allo scavo, al rigore e al controllo, alla sofferta emersione di quei gangli che consentono ad ogni esistenza di riconoscersi ed essere veramente tale.

Opere

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